L’invenzione dell’isteria.Charcot e l’iconografia fotografica della Salpêtrière, Georges Didi-Huberman, Marietti 1820 (2020) A cura di Viviana Filippini

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Charcot. Di certo sarà capitato di sentire almeno una volta il nome di Jean-Martin Charcot in rapporto all’ospedale psichiatrico parigino della Salpêtrière e dell’isteria. Il libro “L’invenzione dell’isteria. Charcot e l’iconografia fotografica della Salpêtrière” di Georges Didi-Huberman edito da Marietti 1820, porta il lettore all’interno dell’ospedale parigino dove erano rinchiuse tra le 4 e 5mila donne e dove Charcot divenne direttore nel 1862. Fu in questo istituto che Charcot trovò materia prima per la definizione di quel disagio femminile conosciuto come isteria. Quello che emerge dal libro di Didi-Huberman è che per Charcot, oltre ai gesti concreti compiuti dalle donne ricoverate, per comprendere i sintomi e le manifestazioni della sindrome, fu importante documentare con la fotografia gli attacchi delle pazienti, per avere un vero e proprio dossier su di esse. Considerando la definizione di isteria, essa identifica “una psiconevrosi caratterizzata da stati emozionali molto intensi e da attacchi parossistici particolarmente teatrali”. Alla Salpêtrière tutto venne quindi accuratamente documentato, passo dopo passo, per ogni singola paziente, poiché Charcot creò un vero e proprio metodo che aveva nella fotografia e nella partica dell’induzione all’attacco isterico gli strumenti fondamentali per individuare la malattia. Un aspetto interessante del testo edito da Marietti 1820 è comprendere anche quanto le donne protagoniste degli scatti fossero, spesso e volentieri, costrette ad assumere determinati atteggiamenti per creare il perfetto “effetto fotografico”.  Si accende nel lettore una riflessione, perché durante la lettura ci si domanda non solo quanto siano realistiche le immagini arrivate a noi nel corso del tempo, ma quanto davvero fossero malate di isteria (secondo Charcot diversa dall’epilessia) le donne fotografate. Durante le sedute fotografiche si creava una situazione nella quale nasceva una sorta di gioco di seduzione tra le parti coinvolte (paziente, medico, fotografo) dove le donne erano in un certo senso spinte a dare sfogo in modo più accentuato a specifici comportamenti (espressioni del viso, spasmi rapidi e movimenti del corpo) per arrivare a identificare l’isteria e le sue quattro fasi. Dettagli che si scorgono osservando le vecchie fotografie riportate nel libro dove ci si accorge, e lo confermano poi le parole, che le pose delle ritratte non appaiono così naturali, ma sono un po’ impostate per la buona riuscita dell’immagine ad effetto. Il lettore può conoscere questo, perché nel libro di Didi-Huberman sono presentate le documentazioni fotografiche (108 immagini d’archivio) di quello che accadeva alle donne ricoverate durante un attacco isterico. L’accuratezza delle immagini fa capire a chi legge di essere davanti ad una vera e propria indicizzazione, catalogazione della psiconevrosi e delle sue modalità di manifestazione. Tanti sono gli interrogativi attorno all’isteria ai quali non sempre si è riusciti a dare risposta. Certo è che “L’invenzione dell’isteria. Charcot e l’iconografia fotografica della Salpêtrière” di Georges Didi-Huberman aiuta a comprendere non solo la figura di Charcot e i suoi studi sull’isteria, ma ad avere anche un approfondimento attorno alla nevrosi e alle sue modalità di manifestazione. Traduzione Enrica Manfredotti.

Georges Didi-Huberman, filosofo e storico dell’arte, insegna all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi.

Source: del recensore. Grazie all’ufficio stampa 1A Comunicazione.

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